“Ci vuole delicatezza nel raccontare Caffè Pascucci.

Non si può descrivere Pascucci senza rinunciare alla retorica perché sarebbe ingeneroso nei confronti di questo miracolo dell’imprenditoria, un chicco dorato di caffè maturato nel Montefeltro dal verde che sovrasta, là dove il primato della natura è ancora totale, incontestabile, a distanza di sicurezza da quelle zone artigianali tutte uguali che caratterizzano quest’epoca alienante.

È quindi d’obbligo vedere Caffè Pascucci come una grande famiglia nel significato più vero e romantico dell’espressione, semplicemente perché lo è e chiunque ci abbia avuto a che fare, lo può confermare.

È inutile glissare sul metodo, la cura e la passione con cui i chicchi vengono selezionati e lavorati perché tanto, nella tazzina che andrai a gustare, l’amore per il caffè lo sentirai comunque, non si scappa.

È doveroso notare come quest’azienda spesso anticipi una concorrenza fatta di torrefattori eccellenti e industriali di grande mestiere, nell’intuire le esigenze dei consumatori, nel lanciare mode come nel cavalcarle, nel credere nell’agricoltura biologica fino a farsi pioniere, nel percorrere strade mai battute.

È onesto constatare come Caffè Pascucci sia riconoscibile ovunque per quelli che sono i suoi marchi di fabbrica: qualità assoluta del prodotto finale e scelte stilistiche che sorprendono, che deliziano. Dall’architettura dei locali alle confezioni, dal rifiuto della plastica alle teste di moro sparse lungo i corridoi della torrefazione, la lezione è che onorando il classico e la tradizione puoi scorgere l’avanguardia.

Pascucci, il caffè della Riviera, è pure una delle catene di ristorazione italiane più diffuse all’estero: seicento locali sparsi in giro per il mondo, tanti quanti sono gli abitanti di Monte Cerignone, il borgo da cui tutto è partito e tuttora prosegue.

A costo di peccare di retorica: se questo non è un miracolo, allora cosa lo è?”