Scritto da Nicola Caporale | 3′ di lettura
Lezione di Storia: l’origine dei Cappelletti.
I caplèt (chiamati così in dialetto) o cappelletti sono l’emblema della tradizione culinaria romagnola.
La forma di questa pasta ricorda molto quella del “galoza”, un copricapo ad ali indossato dagli agricoltori di un tempo.
Un tipo di pasta ripena, il cappelletto, che viene farcita con ingredienti diversi a seconda della zona della Romagna in cui vieni preparata ma che porta con sé tutti i sapori e i profumi della terra in cui è nata.
Secondo le testimonianze, la nascita di questa pasta risale al 500 passo la corte estense quando i due cuochi , Cristoforo di Messisbugo e Bartolomeo Scappi, citano questa ricetta dove viene descritta sia la forma che il ripieno, o “compenso”, così come lo chiamano in Romagna.
La ricetta ben presto passa dalla corte alla Romagna, diventando famosa in tutto il territorio del centro Italia e iniziano a prendere vita anche le diverse varianti del ripieno a seconda delle zone.
La prima testimonianza ufficiale risale però al 1811, anno in cui il prefetto di Forlì decise di redigere un rapporto sulle tradizioni, i costumi e le usanze degli abitanti delle campagne. E’ proprio in questo documento che troviamo per la prima volta un riferimento ai cappelletti e il fondamento della tradizione dei Cappelletti di Natale secondo la quale
Secondo la tradizione è infatti consuetudine che il menù del pranzo di Natale preveda i cappelletti accompagnati dal brodo di cappone.
Nel 900 è proprio Giovanni Manzoni a parlare di Cappelletti, menzionando 7 ricette diverse di questa pasta ripiena che verranno poi confermate poco più tardi anche da Pellegrino Artusi, nel suo testo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“.
La ricetta dei cappelletti è una ricetta che ci fa fare un tuffo nel passato e ci riporta ai tempi dei nostri nonni.
La preparazione di questa pasta era un “evento” che coinvolgeva tutta quanta la famiglia.
L’Azdora, ovvero la “reggitrice” della famiglia, è l’elemento centrale di tutta la ricetta. Era lei che infatti preparava la sfoglia per poi, il giorno dopo, finire la preparazione e la chiusura dei cappelletti insieme ai bambini e alle altre donne di casa.
La ricetta di una volta prevede la preparazione della pasta con uova, acqua e farina. Dopo aver fatto l’impasto della sfoglia questa deve essere tirata e stesa, con il matterello e successivamente divisa in quadratini di 4-6 cm di lato con l’apposita rotella dentata.
Ottenuti quindi questi quadratini di sfoglia si passa poi a posizionare al centro di ognuno di essi il contenuto preparato in precedenza e si passa alla “chiusura”, il passaggio più difficile: il quadratino si ripiega su se stesso a mezza luna, facendo combaciare le due punte e queste, schiacciandosi, danno forma al cappelletto.
Sul ripieno sono tante le scuole di pensiero e tutte valide: c’è chi preferisce il formaggio alla carne e secondo chi ci vogliono addirittura tre tipi di carne. Questo fa cappelletti una pasta tradizionale ma eterogenea come eterogeneo è il territorio romagnolo. Infatti, se secondo la tradizione ravennate il ripieno è solo ed esclusivamente composto da formaggi secondo quella riminese il ripieno è composto da un mix di tre carni: vitello, maiale e cappone.
Se il ripieno dei Cappelletti vede pareri diversi a seconda della zona geografica, tutti concordano sul modo di cucinarli. Il brodo (di gallina vecchia, o di cappone, e di poco manzo magro) è c ma è comune trovarli anche asciutti e conditi in modo diverso. Un esempio sono i cappelletti al ragù di carne di maiale.
Il cappelletto non sono solo il simbolo della tradizione romagnola ma rappresenta anche un momento di convivialità e porta con sè tutto il significato di famiglia.